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CESARE, GAIO
GIULIO
(Roma 100 a.C. - ivi 44 a.C.). Politico
romano. Nipote della moglie di Gaio Mario, durante la dittatura di Silla
lasciò Roma, compiendo il servizio militare in Asia minore (81-78).
Pontefice nel 73, questore in Spagna nel 69, si schierò con la
parte democratica. Pontefice massimo nel 63, si oppose invano all'esecuzione
dei catilinari. Pretore nel 62, ebbe poi come provincia l'Hispania
Ulterior. Nel 60 con l'accordo politico con Pompeo e Crasso (primo
triumvirato) si assicurò il consolato
per il 59. Con la lex Vatinia ebbe il proconsolato per cinque anni
in Gallia cisalpina e Illirico. Nel 58 iniziò la campagna che portò
alla conquista della Gallia citeriore (51). Morto Crasso a Carre (53),
Pompeo rimase padrone di Roma con l'appoggio del Senato e Cesare si candidò
al consolato, ma il Senato gli ingiunse di tornare a Roma abbandonando
il comando, con il fine recondito di renderlo inoffensivo. Cesare ruppe
gli indugi: varcò il Rubicone entrando in armi nel pomerio (49)
e s'impadronì dell'Italia. Sconfitti i pompeiani in Spagna e Pompeo
a Farsalo (48), si decretò dittatore a vita. Nonostante la brevità
del suo potere, alcuni suoi provvedimenti appaiono indicativi. Con l'estensione
del diritto latino alle province dell'impero e con lo stanziamento di
parecchie colonie di veterani, aveva come obiettivo una progressiva omogeneizzazione
dei territori conquistati da Roma, che doveva essere favorita anche da
un maggiore controllo dei magistrati che governavano le province. Importanti
furono anche i provvedimenti urbanistici e socioeconomici. Sue furono
le prime misure di disciplina urbanistica (limitazione dell'altezza delle
case); dimezzò il numero di plebei cui era consentito di ricevere
distribuzione di grano a spese dello stato, da 300.000 a 150.000. Molti
plebei urbani furono sistemati in colonie e pertanto anche le finanze
dello stato vennero rimpinguate (alla morte di Cesare 700 milioni di sesterzi).
Nei quattro anni di potere (48-44) non introdusse comunque alcuna svolta
decisiva nell'organizzazione dello stato. Il suo tentativo fu infatti
quello di raggiungere una generale pacificazione, sedando le ultime resistenze
armate. Ma mentre tale politica riuscì a conquistare l'adesione
degli strati inferiori della popolazione, si rafforzò sempre più
il malcontento degli oligarchi sopravvissuti. Con la sua morte si concludeva
la storia della repubblica. I suoi uccisori, un gruppo di senatori nostalgici,
non riuscirono a imporre la restaurazione del potere senatoriale. La politica
di Cesare fu continuata da Antonio che, già
suo collega nel consolato, ne divenne il naturale erede politico. Nel
suo testamento, letto da Antonio durante i solenni funerali nei quali
la figura del morto fu divinizzata, lasciò a 150.000 plebei un
dono di 300 sesterzi a testa, ma erede della sua grande fortuna fu il
giovanissimo Ottaviano, figlio adottivo.
R. Scuderi
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